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Apprendimento è un termine comunemente usato in ambito scolastico in riferimento all’acquisizione di nuovi concetti grazie ai quali sviluppiamo conoscenze e capacità in vista di un miglior adattamento all’ambiente. In realtà questo è solo il dominio più conosciuto, quello in cui generalmente viene collocato. Non è tuttavia l’unico: l’apprendimento è, infatti, un meccanismo di base dell’esistenza umana e animale e, in quanto tale, è presente in tutti gli ambiti della nostra vita.
Perché parlare di apprendimento in Psicocultura? Affrontiamo qui l’argomento perché alcune delle principali problematiche psicologiche dei nostri giorni sono il frutto di un apprendimento disfunzionale. Diventare consapevoli di ciò che contribuisce al nostro malessere è fondamentale per capire la situazione in cui ci troviamo e cercare di migliorarla.
Vediamo, dunque, cosa intendiamo con “apprendimento” in ambito psicologico, quali sono le modalità con cui è possibile apprendere e che ruolo giocano nei processi psicopatologici.
Apprendimento, Significato in Psicologia
L’apprendimento in psicologia è il processo di acquisizione delle informazioni che produce delle modifiche sul piano comportamentale. In parole più semplici possiamo dire che tutto ciò di cui facciamo esperienza impatta sul nostro modo di relazionarci all’ambiente. I comportamenti che sviluppiamo possono essere più o meno stabili nel tempo, ovvero restare così come li abbiamo appresi oppure modificarsi in momenti successivi. Importante è capire che l’apprendimento non riguarda soltanto il percorso accademico di un individuo. In un percorso arduo come quello di affido o adozione, il figlio adottivo impara ad apprendere una forma di cura responsabile che fino a quel momento non aveva mai esperito.
È comportamento qualunque cosa che un organismo può fare. Rientrano nei comportamenti sia le azioni visibili esterne, come il movimento di una mano, sia quelli interni all’individuo, come l’aumento del battito cardiaco.
L’apprendimento è un processo soggettivo, in quanto dipende dalle singole esperienze che facciamo nel mondo e da variabili personali come la motivazione, la memoria e le emozioni. Tali aspetti sono, infatti, squisitamente individuali.
Vedi anche: Memoria di lavoro
L’autostima è uno stile di risposta appreso che riflette le valutazioni operate dall’individuo delle sue esperienze e comportamenti passati e che predice, in una certa misura, i suoi comportamenti futuri (Bracken, 1993).
Non sempre si apprende in modo volontario, anzi. La memorizzazione programmata è spesso strettamente specifica per l’ambito scolastico/lavorativo, come quando a scuola ci chiedevano di imparare una poesia a memoria. Molti degli apprendimenti avvengono, invece, in modo spontaneo, avvengono cioè al di fuori della nostra volontà. Basta semplicemente essere vigili, prestare attenzione all’ambiente intorno a noi, affinché il nostro cervello acquisisca nuove informazioni. Consideriamo, infine, che la conoscenza sviluppata può non essere visibile fin da subito, ma rivelarsi solo nel momento in cui la persona compie un certo comportamento.
Apprendimento, Modalità
L’apprendimento può avvenire attraverso due modalità principali, con o senza associazione, che a loro volta possono essere declinate in due forme ciascuna. Vediamole insieme.
Sapevi che è possibile promuovere l’apprendimento attraverso tecniche di gamification?
Apprendimento Non Associativo
L’apprendimento non associativo ha luogo sulla base delle proprietà di uno stimolo specifico che si presenta a noi più di una volta. Le due forme che assume questo processo sono l’abituazione e la sensibilizzazione.
- L’abituazione (da “abitudine”) consiste nella riduzione di una risposta comportamentale involontaria in seguito alla presentazione ripetuta di uno stimolo. Lo stimolo deve essere neutro o, comunque, non connotato negativamente. Pensiamo, ad esempio, a quando andiamo a letto: se, prima di prendere sonno (vedi anche insonnia), inizialmente sentiamo la televisione del vicino o il rombo dei motori delle automobili, dopo poco non ci accorgiamo più della loro presenza perché questi stimoli, ripetitivi e non nocivi, sono stati appresi attraverso il fenomeno dell’abituazione.
- La sensibilizzazione, al contrario, prevede l’aumento della risposta comportamentale involontaria che viene scatenata da una maggiore varietà di stimoli. Quando sperimentiamo una situazione potenzialmente pericolosa, il nostro corpo si attiva per proteggersi da un’eventuale minaccia. Se sentiamo un rumore forte ed improvviso vicino a noi, tenderemo a sobbalzare ad un suono comune e decisamente meno intenso come quello del campanello della porta. Fenomeno della sensibilizzazione: il corpo, già allerta, reagisce allo stesso modo a stimoli diversi.
Apprendimento Associativo
Nell’apprendimento associativo si impara la relazione che intercorre tra due eventi. Affinché si verifichi questo apprendimento, l’organismo deve essere esposto a stimoli di diverso tipo, intensi o negativi, proposti in sequenza tra loro. Le due forme di apprendimento associativo sono il condizionamento classico e quello operante.
- Nel condizionamento classico l’apprendimento si verifica sulla base di una previsione tra due eventi.
- Nel condizionamento operante il soggetto associa un proprio comportamento al verificarsi di un evento immediatamente successivo.
Più avanti riprenderemo e approfondiremo queste due modalità, che sono alla base dell’approccio comportamentale. In particolare, l’apprendimento associativo risulta essere una delle strategie di intervento più opportune nel ritardo mentale.
L’apprendimento associativo è il meccanismo alla base della formazione di uno stereotipo rispetto ad una categoria e di un atteggiamento verso argomenti, eventi, persone o cose. Il potenziamento cognitivo, in alcuni casi, può essere un valido alleato.
Vedi anche: Sessismo: Cosa significa, Linguaggio e Oggettivazione Sessuale
Apprendimento, Teorie
L’apprendimento è sempre stato un fenomeno di grande interesse in ambito psicologico. Storicamente i primi ad occuparsene sono stati i comportamentisti (anni ’20) che lo hanno indagato a partire dai comportamenti osservabili. Secondo questa corrente, infatti, la mente era una “black box” e tutto ciò che avveniva al suo interno non era misurabile in modo oggettivo. Furono i cognitivisti ad esplorare per primi (anni ’60) le modalità di elaborazione della mente umana, applicandole ai processi di apprendimento. Paragonando il funzionamento del cervello umano a quello del un computer, ipotizzarono il ruolo attivo della persona nella trasformazione delle informazioni da quelle in “entrata” a quelle in “uscita”.
Tra i principali autori comportamentisti, ricordiamo: Pavlov, che avanzò una visione associazionista stimolo-risposta; Thorndike e Skinner, autori che introdussero il ruolo della ricerca delle ricompense e dei rinforzi nel processo di apprendimento; Watson che indagò la correlazione meccanica tra stimoli. Rispetto al filone cognitivista, che racchiude in sé la corrente costruttivista, annoveriamo il contributo di: Tolman per l’analisi delle mappe cognitive; Flavell per le ricerche su meta-apprendimento e meta-cognizione; Vigotskij, Bruner e Bandura per lo studio della componente sociale dell’apprendimento. Rispetto, infine, alla corrente gestaltica, Khöler approfondì il ruolo della creatività e della scoperta nell’apprendimento.
Facciamo una breve panoramica sulle principali teorie dell’apprendimento.
Condizionamento Classico
Pavlov è stato il primo, a partire dal 1927, ad indagare il fenomeno dell’apprendimento. Sono celebri i suoi esperimenti sui cani, dai quali ha dedotto che l’apprendimento si verifica tramite un processo di associazione tra stimoli, come già accennavamo prima. Come per molte delle scoperte più importanti, anche in questo caso l’autore arrivò a comprendere il fenomeno per caso. Pavlov partì dallo studiare l’attività digestiva del cane: l’esperimento iniziale consisteva nel far mangiare al cane cibi differenti e registrare la quantità di saliva che produceva attraverso un contenitore graduato agganciato alla bocca. Notò che con il tempo la salivazione iniziava ancor prima che il cibo venisse posto nella bocca, alla sola percezione di esso (ovvero quando il cane lo vedeva o lo annusava). Capì così che tale reazione non poteva essere un fenomeno fisiologico e coniò il termine “secrezioni psichiche“.
Quindi, Pavlov modificò l’esperimento: cominciò a far precedere la somministrazione del cibo dal suono di campanello o dall’accensione di una luce. Il cane imparò in breve tempo a salivare alla presentazione di tali eventi, sonori o visivi, perché aveva appreso che il pasto gli sarebbe stato servito nel momento successivo. La salivazione, riflesso involontario ed innato (risposta inizialmente incondizionata), veniva così attivata non più dal cibo (stimolo incondizionato), ma da un elemento inizialmente neutro che con il tempo diventò stimolo condizionato che era in grado di produrre una risposta condizionata. Il cane aveva imparato a fare previsioni nell’’immediato futuro. Questi principi del comportamento sono tra i capisaldi del metodo ABA.
Ecco uno schemino utile per semplificare:
Legge della contiguità: la presentazione di uno stimolo condizionato che avviene prima di uno stimolo incondizionato, permette l’attivazione di un meccanismo associativo che induce la stessa risposta.
Effetti del condizionamento
Non facendo sempre seguire la somministrazione del cibo dopo la presentazione dello stimolo condizionato (campanello o luce), Pavlov scoprì alcuni fenomeni:
- Estinzione: il comportamento appreso può scomparire se si interrompe l’associazione tra i due eventi (suono e cibo).
- Ri-acquisizione: il riapprendimento del comportamento è molto più rapido se questo è stato imparato in precedenza.
- Generalizzazione: stimoli diversi producono la stessa risposta comportamentale. Ad esempio, frequenze diverse di suoni fanno salivare nello stesso modo l’animale.
- Discriminazione: sono uno stimolo specifico produce quella risposta comportamentale. Solo una frequenza, in particolare, precede l’arrivo del cibo e, quindi, permette la salivazione del cane.
Condizionamento Operante
In seguito, sempre all’interno dell’approccio comportamentista, Thorndike e Skinner (maestro e allievo) introdussero nuovi elementi al concetto di apprendimento. Anche loro partirono dal condurre esperimenti su animali in laboratorio.
Thorndike e l’apprendimento per prove ed errori
Thorndike pose dei piccoli animali (topi o uccellini) in gabbie, dette Puzzle Box, da cui dovevano trovare un modo per uscire. Notò che solo i comportamenti che avevano prodotto un risultato favorevole (l’evasione) venivano riproposti e che il loro utilizzo era sempre più rapido ad ogni tentativo. Dichiarò così che l’apprendimento si verifica per prove ed errori (vedi anche: bias). Alias: sbagliando si impara.
Legge dell’effetto: in base all’effetto, piacevole o spiacevole di un comportamento, esso tenderà a essere rimesso in atto o evitato.
Legge dell’esercizio: la ripetizione di una risposta comportamentale diventa sempre più probabile quanto più spesso viene ripetuta.
Skinner e il rinforzo
Skinner introdusse un nuovo fattore alle gabbie del suo mentore: il rinforzo. Il rinforzo è una condizione che aumenta la probabilità di ottenere un certo tipo di risposta. Può essere positivo quando introduce un elemento gradevole, come la comparsa del cibo, o negativo se interrompe una condizione avversa (una scarica elettrica o un rumore forte, ad esempio).
Altre tipologie di rinforzo:
- Primario, quando soddisfa un bisogno biologico fondamentale (cibo, acqua, calore…).
- Secondario, se soddisfa un bisogno appreso con l’esperienza e non legato alla sopravvivenza (denaro, multe…).
- Intrinseco, prodotto dalle conseguenze naturali di un’azione (come la musica per un musicista).
- Estrinseco, conseguenza che non deriva direttamente dal comportamento (come il bel voto del compito in classe).
- Sociale, è l’effetto del comportamento di altre persone sul nostro, a seconda che indichi approvazione o repulsione nei nostri confronti.
Nelle Skinner Box gli animali avevano a disposizione leve o bottoni che, se tirate o premuti, avevano la possibilità di introdurre un rinforzo. Se i comportamenti messi in atto dagli animali producevano un effetto favorevole, venivano riproposti in seguito e sempre con maggiore probabilità. L’apprendimento dei comportamenti dipendeva sia dalla tipologia dei rinforzi ma, soprattutto, dalla modalità di somministrazione. Non sempre, infatti, all’azione di tirare la leva seguiva l’arrivo del rinforzo.
Secondo voi è più efficace la somministrazione continua, ovvero costante del rinforzo ad ogni comportamento, o quella intermittente?
Un piccolo esempio
Pensate ad un bambino che riceve dal genitore un cioccolatino ogni volta che mangia la verdura al pasto. Dopo qualche tempo smetterà di volere il cioccolatino e avrà il desiderio di cambiare (magari chiederà un biscotto), perdendo l’interesse nel mangiare la verdura se non varierà il rinforzo usato. Se, invece, il cioccolatino viene proposto solo ogni tanto o, magari, con specifici tipi di verdura, il bambino sarà motivato dalla “sorpresa” di poter ricevere un dolcino a fine pasto.
Il rinforzo è alla base di diverse tecniche di intervento, sia in ambito psicologico che educativo e scolastico. I voti delle verifiche rappresentano in pieno questo concetto. Tecniche famose come la Token Economy per la gestione dei comportamenti problema e l’ABA per l’autismo sono solo due esempi del vasto campo di applicazione del rinforzo.
Apprendimento Latente
Il rinforzo è molto utile per motivare all’apprendimento, ma è davvero necessario? No, secondo Tolman. Questo autore, con visione decisamente più cognitiva (e meno comportamentale) del fenomeno, introdusse il ruolo delle rappresentazioni mentali all’interno dei processi di acquisizione delle informazioni.
Nel suo esperimento più famoso, mise per 10 giorni dei topi all’interno di una gabbia-labirinto. Potevano muoversi liberamente, senza dover cercare leve o bottoni per procurarsi da mangiare. Trascorso il tempo previsto, Tolman posizionò del cibo alla fine del labirinto e gli animali lo raggiunsero al primo tentativo, senza mai sbagliare strada. Secondo l’autore, i topi si erano creati una mappa mentale della gabbia e del percorso che avrebbero dovuto compiere.
I tipi, fino all’undicesimo giorno, avevano acquisito delle conoscenze che non si erano manifestate fino a che non erano stati messi nella condizione di avere una giusta motivazione. Per questo motivo Tolman lo definì apprendimento “latente”.
Questo è un esempio del fatto che, come abbiamo accennato all’inizio, il comportamento appreso si rivela solo nel momento in cui viene messo in pratica.
Insight
Khöler è l’autore della teoria sull’Insight. Questo termine, che significa “intuizione”, già potrebbe già farci immaginare di cosa stiamo per parlare…
L’esperimento in questione (perché sempre da qui si parte) è stato svolto su degli scimpanzé, i primati cognitivamente più simili all’uomo. All’interno di una gabbia, gli animali dovevano raggiungere un cespo di banane posto al di fuori, vicino ma non abbastanza da poterlo raggiungere allungando un arto. Nella gabbia erano presenti vari oggetti: casse, bastoni lunghi e altri più corti. Dopo aver provato a raccogliere direttamente le banane senza successo, gli scimpanzé apparivano irritati e lasciavano inizialmente perdere il cibo. Poi, dopo un certo periodo di tempo, riprendevano a guardarsi intorno: prendevano l’oggetto che serviva per cogliere le banane e riuscivano a portare a termine il loro intento. Da semplice oggetto, diventava uno strumento, ovvero, un mezzo per raggiungere uno scopo.
Per approfondire le modalità di pensiero e ragionamento, puoi leggere anche: Problem Solving: Significato, Fasi, Creatività ed Esercizi.
Possiamo quindi distinguere delle fasi del processo di apprendimento per insight:
- Preparazione: la mente si concentra sul problema ed esplora le possibili soluzioni.
- Incubazione: il problema viene elaborato a livello cognitivo e, da fuori, sembra che la mente si stia semplicemente riposando.
- Intimazione: si percepisce l’arrivo della soluzione tanto attesa.
- Insight: si trova la soluzione del problema. Per raggiungere l’illuminazione, occorre utilizzare il pensiero divergente e, quindi, la creatività.
- Verifica: si elabora e, infine, si applica la strategia selezionata.
Apprendimento Meta-Cognitivo
Negli anni ’70 l’interesse degli studiosi si è spostato dalle modalità di apprendimento a quelle di controllo del fenomeno stesso. Ciò aveva rilevanza in abito scolastico: all’epoca, infatti, nascevano i primi manuali sul metodo di studio.
Il primo autore che si è occupato di questi aspetti è stato Flavell seguito successivamente da molti altri, tra i quali il più famoso è probabilmente Cornoldi.
Cornoldi, del Gruppo MT di Padova, è l’autore di alcuni questionari di valutazione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento attualmente molto utilizzati.
Vedi anche:
La meta-cognizione è la consapevolezza delle strategie applicate nello svolgimento dei processi cognitivi. Si attua attraverso meta-processi di controllo, supervisione e coordinamento che agiscono a livello cognitivo: dispongono, ad esempio, la giusta quantità di memoria e attenzione, compiono eventuali aggiustamenti e fanno previsioni sulla riuscita della performance. Sono competenze di regolazione della propria attività cognitiva, sovraordinate a quelle cognitive. L’apprendimento meta-cognitivo è, dunque, reso possibile dalla capacità che l’essere umano ha di riflettere sul proprio funzionamento mentale.
Ad oggi si pensa che, più che un metodo di studio, la persona debba possedere delle buone abilità meta-cognitive per essere in grado di apprendere più facilmente e di spaziare nei vari settori di conoscenza. La meta-cognizione è, infatti, un’insieme di capacità trasversali, una competenza-chiave per uno studio efficace.
Quali sono le capacità che permettono un apprendimento meta-cognitivo?
Per citarne alcune:
- Sapersi organizzare: rispettare i tempi e utilizzare i materiali previsti per la preparazione dell’esame. Questo è essenziale anche nel contesto lavorativo, come insegna la psicologia del lavoro.
- Elaborare i contenuti a livello profondo, interiorizzarli, non semplicemente imparare le cose a memoria.
- Essere consapevoli che l’intelligenza può essere migliorata: non è statica, ma può essere incrementata con l’esercizio.
- Scegliere dei giusti obiettivi di apprendimento, che devono essere ambiziosi ma realistici e, soprattutto, di padronanza degli argomenti e non di semplice prestazione.
- Saper padroneggiare l’ansia durante la prestazione.
- Percepire una buona autoefficacia, ovvero sentirsi capaci di raggiungere i propri obiettivi.
Apprendimento Sociale
Un’altra modalità di apprendimento è quello sociale o osservativo. Bandura, il principale esponente di questa teoria, fu il primo a concepire l’apprendimento come il frutto dell’osservazione di un modello (un’altra persona che mette in atto un comportamento). L’apprendimento si può verificare, infatti, semplicemente per osservazione e imitazione di un’azione vista compiere da altri. Ciò è reso possibile dall’acquisizione delle informazioni durante un momento osservativo e dalla loro elaborazione cognitiva, che permette di interiorizzarle e le “farle proprie”. Un ruolo fondamentale in tutto ciò è svolto dai neuroni specchio.
Per arrivare a queste conclusioni, Bandura svolse un esperimento famosissimo: la Bobo Dool (una bambola chiamata Bobo). Si trattò di una situazione strutturata con due gruppi sperimentali e uno di controllo. I soggetti erano bambini tra i 3 e i 6 anni: ad alcuni venne fatto vedere un gioco tranquillo con la bambola, ad altri un’interazione violenta in cui Bobo veniva picchiata e maltrattata, mentre ad alcuni non venne mostrata alcuna modalità di gioco. L’autore osservò che i bambini riproducevano su Bobo ciò che avevano visto: la maggior parte di loro giocava tranquillamente con la bambola, ma quelli che avevano osservato un modello violento di interazione lo riproponevano a loro volta. Erano più aggressivi. La rabbia entra a far parte anche del disturbo oppositivo provocatorio, tipicamente sviluppato in infanzia e adolescenza.
Inutile dire che, in un periodo delicato come l’adolescenza, questo tipo di apprendimento è centrale nello sviluppo dell’identità sociale.
Anche alcuni comportamenti sessuali possono essere appresi tramite osservazione. L’ipersessualità, ad esempio, può essere un fenomeno appreso attraverso la visione massiva di materiale pornografico.
Quindi tutti i comportamenti osservati vengono appresi e riproposti dai bambini?
Ovviamente (e per fortuna) no. Il comportamento deve catturare l’attenzione, essere memorizzato e rimesso in atto se guidato da una giusta dose di motivazione. Inoltre, il modello osservato deve avere una certa rilevanza per la persona, essere credibile e quindi degno di fiducia. Più è simile a livello caratteriale e proviene dallo stesso contesto socio-economico, maggiore sarà la probabilità che i suoi comportamenti vengano imitati.
Un’ulteriore ruolo è giocato dal rinforzo che la persona ottiene nel mettere in atto un certo comportamento: l’azione può essere gradevole di sé (autorinforzo) oppure può portare a delle ricompense.
Quando il soggetto è spinto ad imitare il comportamento altrui perché ha osservato che produce effetti positivi, si parla di rinforzo vicario.
Implicazioni cliniche dell’apprendimento
Ed eccoci, infine, ai risvolti clinici dell’apprendimento. Fin qui abbiamo dato per scontato che l’apprendimento, poiché ha finalità evolutiva, produca sempre effetti positivi. In realtà, l’insorgenza di molte problematiche d’ansia è correlata, tra le altre cose, anche ad apprendimenti di tipo disfunzionale. Un esempio classico sono le fobie: trovarsi in una situazione che ci spaventa può portarci a sviluppare una paura intesa e immotivata per un oggetto/situazione/animale che non è pericoloso di per sé. Un caso analogo è rappresentato dall’ipocondria.
C’è una buona notizia: i disturbi che vengono appresi possono anche essere disappresi.
Nel rapporto tra Internet e ragazzi entra anche in gioco l’apprendimento. Troppe ore al pc implicano un apprendimento più superficiale e poco durevole.
Come funziona? Esistono diverse tecniche psicoterapeutiche in grado di invertire o modificare il processo di apprendimento. Si, perché l’apprendimento induce dei cambiamenti a livello cerebrale, in particolare nelle sinapsi, cioè nelle connessioni tra i neuroni. Le metodologie cognitivo-comportamentali, nello specifico, sono le più indicate. Sono, infatti, tecniche evidence based, ovvero la cui efficacia nel ripristinare il funzionamento sinaptico precedente l’apprendimento è stata dimostrata scientificamente. Tali tecniche si distinguono in due gruppi:
- Quelle che producono un disapprendimento del comportamento appreso. Sono, ad esempio, l’estinzione, l’abituazione, la sensibilizzazione e il contro-condizionamento.
- Quelle che sostituiscono un comportamento disfunzionale con l’apprendimento di un altro più adeguato. Tra questi i principali sono lo shaping e l’uso dei rinforzi negativi e positivi.